![]() Indice: 1. Ristrutturare o comprare nuovo. 2. La ristrutturazione come investimento. 3. Cosa significa ristrutturazione, esattamente. 4. Quanto costa ristrutturare. 5. Gli imprevisti più ricorrenti, evitarli ed affrontarli. 6. La ristrutturazione non finisce con la fine lavori. 7. Quanto costa arredare. 8. E con questo è tutto. O quasi. 1. Ristrutturare o comprare nuovo. Per chi fosse alla ricerca di una casa, da adibire a propria abitazione o mettere in affitto, dopo aver valutato le proprie necessità, posizione, numero stanze, posto auto, budget etc. la prima domanda su cui vale la pena riflettere è: meglio un immobile pronto a prezzo pieno o uno da sistemare a un prezzo inferiore? A meno che ci siano impellenti ragioni di tempi per trasferirsi subito, la risposta giusta è quasi sempre la seconda, anche se molti si spaventano di fronte all’incertezza di una ristrutturazione di cui difficilmente sanno stimare costi e tempi, corteggiati da agenti immobiliari o venditori che favoleggiano ristrutturazioni da due soldi in tempo zero e il dubbio che si tratti di impegni molto maggiori. La verità come sempre sta nel mezzo: con due soldi si fanno soluzioni da due soldi che difficilmente rendono la spesa, così come è legittimo immaginare che, dovendo seguire in prima persona scelte e imprevisti, si finisca sforando il budget. La cosa importante è fare bene i conti e considerare che a parità di prezzo, la differenza di prezzo tra un immobile nuovo/ristrutturato e l’immobile che vado a sistemare deve essere pari o meno dei lavori necessari. Sembra banale ma il primo errore da evitare è vedere una casa che già sfiora il limite di budget pensando di metterci mano. Se poi si è già sicuri di voler cambiare i colori o voler cambiare qualcosa, è uno spreco pagare per una casa che non necessita di tinteggiature per tinteggiarla, meglio trovarne una che magari proprio perché va tinteggiata si presenta peggio e costa meno. Queste inclinazioni dipendono ovviamente da persona a persona, quindi sarebbe corretto domandarsi: non ho nessuna pretesa estetica basta che sia pronto all’uso, oppure voglio poter dire la mia spendendo qualcosa in personalizzazioni? Non ho mai trovato nessun cliente che propendesse per la prima, anche chi trova una casa nuova vuole perfezionare qualche dettaglio o almeno integrare qualche nuovo mobile e così si finisce con lo spendere tutto il budget sull’acquisto dell’immobile per poi sforarlo con gli extra. Sugli immobili le modifiche per quanto contenute e puntuali comportano sempre spese non trascurabili quindi meglio avere un quadro economico complessivo prima di muoversi. Dal punto di vista della ricerca va sottolineato poi un aspetto fondamentale: i fattori che contano di più di un immobile sono quelli non modificabili, mentre tutto ciò che è rinnovabile passa in secondo piano:
Anche nel caso di una nuova costruzione inoltre non è da sottovalutare la possibilità dell’acquisto di un rudere o edificio di scarso valore e pessimo stato di conservazione al posto di un terreno edificabile lottizzato, per dedicarsi a una demolizione completa e rifacimento della volumetria. Come previsto dal Testo Unico dell’Edilizia D.P.R. 380/01 e s.m.i. il solo vincolo necessario per considerare l’intervento ristrutturazione edilizia (lettera d dell’art. 3 comma 1 del DPR 380/01) è il mantenimento del volume preesistente (o meno) con la deroga per adeguamenti sismici (ad esempio pareti più spesse), ma il volume può essere realizzato in qualsiasi nuova forma consentita dai regolamenti edilizi.* Il modo migliore per procedere alla scelta di una casa da riattare è sicuramente quello di muoversi fin da subito con un architetto di fiducia, in modo che possa valutare personalmente le condizioni dello stabile e fornirvi utili informazioni sul tipo di intervento necessario e sulle possibili problematiche, oltre che provvedere alle opportune verifiche documentali se ad esempio vi state muovendo tra privati senza un’agenzia immobiliare. *Fanno eccezione gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, per i quali esiste un obbligo di mantenimento della sagoma. 2. La ristrutturazione come investimento. Grazie alle detrazioni fiscali su ristrutturazione, riqualificazione energetica, bonus verde, bonus facciate e bonus mobili, tutto quello che andremo a fare sul nostro immobile nel medio termine verrà a costare la metà o meno, a patto di avere i requisiti per accedere alla detrazione, sulle quali non entro in dettaglio essendoci già ampia letteratura in merito e le guide fiscali ufficiali per qualsiasi chiarimento. Questo particolare sposta sensibilmente la convenienza sul piano economico dell’operazione. Ad esempio se io avessi un budget di 150.000 € potrei acquistare una casa nuova per quella cifra oppure sceglierne una per 90.000 € da ristrutturare investendo 60.000 € per riqualificarla a nuovo e su misura; nella prima ipotesi a distanza di 10 anni avrei probabilmente perso qualcosa sul capitale investito a causa dell’usura dello stabile (considerare che ogni 20-25 anni circa sarebbe utile una manutenzione generale e ogni 50 anni una ristrutturazione), nella seconda dei 150.000 iniziali avrei recuperato la metà degli interventi (pagati 60.000 nell’esempio) per un costo reale finale di soli 120.000, molto inferiore al valore di mercato dell’immobile anche considerando l’usura di 10 anni di utilizzo. Di solito poi, affidandosi a un bravo progettista, è possibile anche valorizzare lo spazio e aumentarne il valore, soprattutto se si parte da qualcosa di vecchio con una distribuzione degli spazi datata o angusta. In questo modo l’intervento porta valore aggiunto al nostro investimento, pensate ad esempio ad una casa dove spostando le camere o modificando le aperture si possa creare una vista lago in soggiorno dove prima non c’era, o realizzare un godibile open space unendo un cucinino con una piccola sala pranzo e un salottino prima separati da muri. Se poi sono nel caso di un appartamento messo a rendita, il recupero fiscale diventa a tutti gli effetti un surplus del rendimento dell’immobile per i primi 10 anni, che consente di arrivare in alcuni casi fino al 10% di rendimento annuale già al netto di cedolare secca sull’affitto**. Non solo, i risparmi potrebbero estendersi anche alle spese di compravendita poiché la mediazione di un’agenzia immobiliare si calcola in percentuale sul valore dell’immobile al momento dell’acquisto, così come il passaggio notarile e le tasse di registro, che molto spesso sono più alte su un immobile nuovo con rendita catastale recente che non uno vecchio da ristrutturare con rendita catastale minima. Nel caso poi di demolizione e ricostruzione va precisato infine che i comuni chiedono solitamente oneri e contributi doppi sugli interventi di nuova costruzione rispetto a quelli di ristrutturazione, oltre ad una serie di richieste aggiuntive come quelle di cessione di superfici a parcheggio. Per concludere, anche il costo di singoli arredi e gli elettrodomestici, come ad esempio una cucina che molto probabilmente dovrete comprare anche in una casa nuova, possono accedere alla detrazione fiscale se avete ristrutturato, spostando ancora di più convenienza, a parità di costo tra acquisto pronto e acquisto con opere. **I valori sono indicati con riferimento alla situazione attuale. Le stime sul valore tra 10 anni sono al netto di inflazione, normative fiscali e fluttuazioni del mercato immobiliare. 3. Cosa significa ristrutturazione, esattamente. Questo termine nell’ambiente commerciale è senz’altro abusato e si sente declinato per ogni tipo di lavoretto che vada dalla verniciatura di un antello alla ricostruzione di un tetto, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza in materia. Dal punto di vista normativo le ristrutturazioni sono una categoria di intervento edilizio così come stabilita dal già citato Testo Unico, alla quale si affiancano gli interventi di manutenzione straordinaria che beneficiano dei medesimi recuperi fiscali. Molti dei lavori che comunemente sono definiti ristrutturazione, come tinteggiare e cambiare il pavimento o i sanitari, sono in realtà classificati come manutenzioni ordinarie, che restano escluse da qualsiasi bonus (tranne per le parti comuni/condominiali), ma che sono ammesse al recupero nel momento in cui diventano contestuali e correlate ad opere di categoria superiore, cioè manutenzione straordinaria o ristrutturazione. Ad esempio se sostituisco i sanitari e le mattonelle del bagno sto facendo una semplice trasformazione estetica di ordinaria manutenzione anche se dovessi riparare un tubo nell’operazione, ma se demolisco e rifaccio l’impianto sanitario del bagno, il necessario rifacimento di pareti e pavimento così come i nuovi sanitari installati diventano parte dell’intervento di straordinaria manutenzione e vanno in detrazione. A parte la discriminante “burocratica” esistono poi diversi livelli reali di intervento su un immobile. Si può andare da veloci “rinfrescate” a trasformazioni radicali ma in generale, anche se con le tecnologie odierne si riesce a fare praticamente di tutto è inutile negare che in alcuni casi lo stato di degrado di un fabbricato rispetto al suo valore di mercato al nuovo non lasciano lo spazio sufficiente per operare in modo economicamente sostenibile, oppure che alcune caratteristiche connaturate all’edificio non valgono la pena essere riviste per una semplice valutazione costi benefici o per limiti tecnici, come ad esempio le doti antisismiche di uno stabile antiquato che possono comportare adeguamenti dalle prestazioni inferiori e più costosi di una demolizione e ricostruzione integrale. Tralasciando i lavori di restauro conservativo (lett. c dell’art. 3 comma 1 del DPR 380/01) che riguarda per lo più casi di edifici storici di pregio o che comunque richiedono soluzioni tecniche e materiali troppo specifici per essere stimati sommariamente, per semplicità di comprensione propongo 3 livelli di intervento: 1. Re-look sono quegli interventi contenuti o puntuali, di carattere prettamente estetico, che puntano a trasformare l’aspetto di un immobile senza alterarne di fatto le caratteristiche e rifare completamente gli impianti. Un classico esempio è il cambio di pavimenti e rivestimenti, tinteggiatura, sostituzione dei comandi elettrici etc. Non necessariamente però questi interventi restano esclusi dai bonus fiscali, infatti se si accompagnano ad esempio alla modifica di qualche divisorio, come in una zona giorno per aprire la cucina e realizzare un open-space, tutte le spese sostenute comprese quelle per i mobili entreranno a far parte del recupero fiscale. In questo caso sarà necessario procedere con una pratica edilizia per segnalare la modifica della distribuzione interna (ovviamente deve essere valutata e redatta da un tecnico abilitato) e con una cifra modesta si potrà cambiare completamente aspetto a tutta la casa. Questo tipo di intervento è adatto a immobili molto recenti o recentemente ristrutturati dove non serve intervenire sugli impianti se non appunto sostituendo i terminali (nuovi frutti e diverse placchette per i punti elettrici, sostituzione del solo sanitario o miscelatore). Quando si ha a che fare con immobili degli anni ‘70/’80 è caldamente consigliato rifare gli impianti adeguandoli a standard di qualità, sicurezza e prestazioni più moderni. 2. Ristrutturazione, in senso comune a prescindere dalla definizione burocratica (che in molti casi, tipo appartamenti in condominio, ricade nella semplice manutenzione straordinaria), è quel tipo di intervento in cui si procede a rifare tutti gli impianti, si demoliscono i pavimenti, si aprono le pareti per installare un nuovo impianto elettrico, si modificano aperture interne o esterne e si rifanno i bagni con tutte le linee. Questo tipo di intervento risulta necessario quando ci si imbatte in un immobile che abbia più di 40 anni perché il rischio, evitando di rifare gli impianti per risparmio, è di trovarsi ad aver speso dei soldi per migliorie estetiche e trovarsi dopo pochi anni a dover procedere a demolizioni e riparazioni. Il rifacimento degli impianti purtroppo comporta di fatto lo sventramento degli intonaci e sottofondi interni il che significa maggiori costi e tempi di realizzazione, ma anche la possibilità di maggiore personalizzazione: in questo caso infatti ha poca incidenza il rifacimento dei muri divisori quindi è possibile ripensare completamente un immobile, spostare le stanze e riorganizzare la superficie in base alle nostre necessità. 3. Ricostruzione (ristrutturazione ai sensi dell’art. 3 del T.U.E.) è il caso più completo di intervento su un immobile, che può essere sia il recupero e trasformazione pesante di un rudere che la demolizione completa e ricostruzione integrale di un edificio totalmente nuovo. In questo caso siamo di fronte a un rudere senza tetto o a un edificio fatiscente, da ricostruire con pesanti interventi per mantenere il fascino di alcune caratteristiche se l’edificio merita, da trasformare creando magari scale interne, solette, rifare il tetto o altri interventi di tipo strutturale. In questo caso si può parlare anche di miglioramenti statici o sismici, adeguamenti acustici, cappotti termici di facciata, consolidamento di fondazioni e quant’altro necessario. Ovviamente il costo in questo caso è spesso prossimo a quello del nuovo, in alcuni casi infatti risulta più semplice e meno costoso demolire tutto e costruire da zero, risparmiandosi anche gli imprevisti che una ristrutturazione così pesante può portare, per non parlare del fatto che se si cercano prestazioni sismiche, energetiche e acustiche ai vertici odierni è meglio orientarsi su una costruzione nuova, recuperando solo il volume sulla carta. La convenienza in questo caso si misura sull’acquisto dell’immobile: costa meno un rudere e un intervento con tutte le detrazioni o un terreno edificabile, ammesso che esista nella zona dove cerco? 4. Quanto costa ristrutturare. Una volta compreso che tipo di intervento sia necessario sul vostro immobile si può procedere con una stima di massima, non sarà precisa come un progetto e un computo metrico ma lo è quel tanto che basta per fare dei ragionamenti in fase di acquisto, pur tenendosi qualche margine di sicurezza. Difficilmente si può stabilire da soli il livello di intervento necessario e la sua fattibilità, la cosa migliore è farvi assistere da un professionista che penserà a valutare meglio il costo evitandovi spiacevoli malintesi. Quanto costa alla fine l’operazione è un lavoro che procede valutando diverse voci di spesa, esistono dei costi sintetici al metro quadro nei quali ci si può imbattere ma sono sempre intesi come costo netto delle sole opere, cioè materiali e manodopera, escluso però IVA, progettazione e direzione lavori etc. Ho cercato quindi, per comodità del lettore, di esporre degli importi onnicomprensivi*** da moltiplicare per la superficie lorda/commerciale dell’immobile e che tengono conto quindi di costo delle opere, IVA al 10% e spese tecniche per i professionisti, restano esclusi solo gli arredi e gli oneri per i casi di ricostruzione più importanti così come sono da valutarsi meglio le opere esterne (giardino, piscine, autorimesse, pergolati e gazebo, recinzioni e cancelli, fognature etc). Per avere una prima indicazione le tre categorie di intervento possono essere stimate così:
Per tutti questi motivi risulta fondamentale avvalersi di un architetto che vi possa aiutare in tutto, trasformerà un’impresa titanica e nebulosa in un’esperienza affascinante e comprensibile. Anche per quanto semplice sia la vostra idea, vale sempre la pena cercare l’aiuto di un professionista che vi possa aiutare a capire quanto costa quello che volete realizzare o al contrario cosa si possa fare con il budget a vostra disposizione. *** Quanto esposto è riferito principalmente ad appartamenti e rifacimenti di unità che vanno dal bilocale di 50 mq al quadrilocale da 120 mq che rappresentano il caso tipo, casi più particolari vanno analizzati in dettaglio. Per verificare i casi di IVA agevolata si rimanda alla guida fiscale ufficiale. 5. Gli imprevisti più ricorrenti, evitarli ed affrontarli. Come già anticipato, in questo tipo di lavori, i casi comuni di imprevisti nelle operazioni più leggere riguardano spesso l’impiantistica idraulica, che demolendo si scopre essere decisamente datata e malconcia. Questo tipo di problema viene molto ridimensionato nelle ristrutturazioni meno leggere dove invece si mette in conto fin da subito di procedere con la sostituzione integrale e l’imprevisto può limitarsi quindi solo a una parte condominiale o qualche difficoltà tecnica che obbliga il ricorso a soluzioni più ricercate. La sola sostituzione di frutti e placche di impianti elettrici di solito non porta grossi problemi se si è verificata in anticipo con un elettricista la fattibilità, in fondo gli impianti elettrici di una volta erano cablati per supportare lampadine da 60-100 W e oggi con tutti gli elettrodomestici a basso consumo e lampadine a LED supportano bene il carico. Bisogna comunque prevedere di sostituire il quadro elettrico e verificare la sicurezza, ma resta il limite di dover restare fedeli all’impianto esistente, aggiungere nuovi punti elettrici comporterebbe di spaccare pareti e pavimenti per portare le nuove tubazioni. Un altro problema che si può presentare è legato alle infiltrazioni d’acqua o a muffe, che a volte per essere sanate richiedono di intervenire in modo più profondo di quanto previsto, soprattutto quando si parla di sottotetti o interrati. In situazioni simili può emergere qualche grave mancanza costruttiva, ad esempio uno strato impermeabile assente o irrimediabilmente rovinato. Gli imprevisti più importanti si possono verificare di solito con i lavori più radicali, come la ristrutturazione di un rustico, poiché alcuni elementi non ispezionabili prima delle demolizioni potrebbero rivelarsi problematici, comportando adeguamenti delle strutture che possono essere particolarmente onerosi. In questo caso solo una progettazione esecutiva ed indagini accurate possono consentire di mettere il più possibile in conto tutto prima di iniziare i lavori, ma ovviamente dovrete sostenere il costo di una progettazione avanzata per scoprire se può esserci un imprevisto che porta fuori budget. Nelle demolizioni complete e ricostruzioni invece si tratta a tutti gli effetti di immobili nuovi quindi con un buon progetto e preventivazione i costi non presentano grosse sorprese, soprattutto se misurate in proporzione all’investimento complessivo. A fronte degli imprevisti comunque è spesso possibile rimediare in due modi: accollarsi la spesa extra oppure risolvere la situazione salvando il budget e rinunciando a qualcosa d’altro, come ad esempio una finitura che si può sostituire con qualcosa di più economico o rimandando alcuni interventi che possono essere realizzati in un secondo momento senza cantiere, come la sostituzione dei serramenti. 6. La ristrutturazione non finisce con la fine lavori. A lavori ultimati resta da traslocare i vecchi mobili, ma conviene sempre? Personalmente mi è capitato spesso di avere clienti che volessero mantenere qualche vecchio arredo, in alcuni casi addirittura mi è stato posto come condizione di progettare determinati spazi perché potessero adattarsi alle misure di quei mobili scartando soluzioni più funzionali o affascinanti per inseguire un risicatissimo risparmio. In realtà, a meno che si sia sempre disposti (o si abbia a disposizione qualcuno che può farlo gratis per noi) a sobbarcarci un bel lavoro di monta, smonta e sposta, molte volte si rende necessario far smontare e trasportare i mobili a un deposito dove ci verrà addebitato un costo di custodia, per poi farli riportare e rimontare da qualcuno competente. Va da sé che se si tratta di mobili dal particolare valore affettivo o di pregio la cosa ha un senso, ma quasi sempre mi è capitato spesso di vederlo fare per mobili che si sarebbero potuti benissimo ricomprare nuovi allo stesso prezzo del lavoro di spostamento, senza il rischio di danneggiamenti (oltre alla movimentazione certi prodotti non di qualità o vetusti si rovinano nel montaggio/smontaggio e magari non sono più assemblabili se non dopo riparazione). Se poi si tratta di pezzi come una cucina o cabine armadio su misura che vanno poi modificate e adattate ai nuovi spazi allora meglio lasciar perdere subito. Se lo scopo infine è realizzarsi davvero una casa su misura il rischio di trovarsi il vecchio letto che non c’entra niente con il resto della casa nuova è alto e la cosa rischia di azzoppare il risultato complessivo per aver risparmiato magari poche centinaia di euro di differenza su un investimento da 100.000 €… Tutto questo non lo dico certo per scoraggiare il riuso e il riciclo che invece sostengo, ma se fatto in prima persona per soddisfazione personale o spirito ecologico ha un senso, se fatto fare a qualcun altro spesso il costo della sola manodopera tra modifiche, trasporti e restauri supera il valore del bene. Quindi a volte è meglio lasciare tutto dove sta e occuparsi del nuovo, donando magari le vecchie cose a chi ne ha bisogno o affidandosi ai servizi di svuotamento che sono di fatto i veri operatori del riciclo organizzato. Insieme alle considerazioni pratiche e funzionali sopra riportate, cerco di offrire una prospettiva su un costo reale che spesso anche solo per esigenze concrete bisogna mettere in conto nell’investimento. Una casa alla fine va per forza arredata per essere abitata o affittata. Nell’affitto le case arredate sono più remunerative, soprattutto quando si parla di mono/bilocali o locazioni brevi che l’affittuario tipo si aspetta completo e con poca voglia di investire per completare, mentre anche nelle soluzioni più grandi almeno la cucina e gli arredi fissi sono necessari, lasciando spazio invece a letti, armadi e divani che magari possono venire da un trasloco. Credo infine che gli arredi siano parte integrante di una casa e non un bagaglio a mano, quindi consiglio di avere arredi dedicati che sfruttino al meglio gli spazi e valorizzino quegli ambienti in particolare, che possano sposarsi al meglio con i colori e i materiali delle finiture e dello stile della casa. Gli arredi sono le parti della casa con cui interagiamo di più quotidianamente quindi da loro passa molta della percezione che abbiamo su un ambiente, la facilità d’uso, il confort; è molto difficile cercare di ripensare al carattere di un ambiente chiedendo a un tecnico l’idea architettonica, a un pittore il colore dei muri, a un arredatore un paio di mobili e sposare tutto con un vecchio salotto. Se si cerca un risultato di qualità, che chiunque anche non esperto possa riconoscere, la cosa migliore è avere un unico referente che si occupi di tradurre la vostra idea in tutti i singoli elementi che entrano in gioco. 7. Quanto costa arredare. Il prezzo varia moltissimo in base alla fascia di prodotto che stiamo cercando, ci sono cucine di design a 6 cifre e cucinotti fissi da mercatone sotto i 1.000 €, per esigenze di sinteticità riporto solo i prezzi più comuni senza fare nomi commerciali. Senza entrare nel dettaglio di tutti i singoli componenti procedo per ambienti tipo, tralasciando gli eccessi al risparmio e al lusso, per consentire una valutazione più attendibile rispetto alle proprie specifiche esigenze:
Attenzione a non trascurare la qualità quando si considera un budget per l’arredo all’inizio dell’investimento: i prezzi dei prodotti migliori non vanno considerati come pura vanità, bisogna al contrario essere realisti e considerare che diverse fasce di prezzo rappresentano anche diverse fasce di qualità e durabilità, il fatto che alcuni materiali col tempo guadagnino fascino mentre altri invecchino male e tendano a rivelare la propria natura economica (scolorirsi, scollarsi, cedere le meccaniche etc.), una libreria basica può presentare i ripiani incurvati dopo pochi anni (la libreria più venduta al mondo flette dopo qualche settimana di carico…), una ben costruita e rifinita invece resta pressoché eterna. Una cucina con top in laminato costa poco ma è anche facile da rovinare con graffi e pentole calde mentre uno in ceramica tecnica costa di più ma richiede molte meno delicatezze e così via. Proprio per questi motivi alcune persone preferiscono investire meno sui lavori o sull’acquisto e concentrarsi più sulle cose con cui entrano in contatto, se non ci sono motivi particolari per rifare tutto a volte si può ottenere un’esperienza utente migliore in una casa dove si è toccato poco a livello edilizio e si è speso qualcosa di più sugli arredi che non in contrario. L’unico limite diventa la differenza tra soldi spesi e soldi investiti: mentre quelli che finiscono in opere edilizie aumentano il valore dell’immobile, quelli spesi in mobili sono più da considerarsi come beni di consumo, che una volta disimballati e assemblati valgono molto meno del prezzo pagato (ad oggi non c’è mercato per i mobili usati) e hanno il solo effetto di rendere l’immobile più bello e magari facile da rivendere. La valutazione di come spendere va fatta poi, oltre che in base al nostro gusto (ci sono cose belle da vedere a tutti i prezzi) anche in base al tempo e tipo di utilizzo che ci si aspetta, non solo per una casa che dovrebbe durare una vita ma anche in caso di affitto, dove quello che si mette a disposizione va considerato anche alla luce di un trattamento magari non troppo rispettoso e lungimirante da parte dell’inquilino quindi a volte chi più spende meglio spende e si risparmia scocciature. 8. E con questo è tutto. O quasi. Se hai trovato utile questo testo, stai valutando una ristrutturazione e hai bisogno di supporto non esitare a contattarmi: come avrai intuito le ristrutturazioni offrono molte potenzialità sotto molti aspetti ma sono anche un terreno delicato su cui muoversi. Per questo ho deciso di offrire un servizio davvero completo per fornire tutta l’assistenza necessaria: insieme ad alcuni partner disponiamo infatti di una squadra completa di professionisti e artigiani in grado di offrire tutto il necessario con unico referente, per la massima semplicità e serenità. Il nostro servizio chiavi in mano inizia infatti dalla ricerca della casa, accompagnandoti durante le visite e le prime valutazioni, comprende la progettazione, le pratiche burocratiche, la scelta dell’impresa e la redazione di capitolati e contratti, la scelta in showroom di materiali e colori, la direzione lavori e l’allestimento dei mobili, liberandoti dalle incombenze complicate per poterti concentrare solo sulle cose importanti, sulle tue valutazioni personali e sull’espressione del tuo stile. Brescia, 20/02/2020 Arch. Amos Zampatti Torno sull'argomento per chiarire meglio alcuni concetti alla base delle detrazioni fiscali per ristrutturazioni, riqualificazioni energetiche e bonus mobili. Tralasciamo le ovvie considerazioni circa l'opportunità di rivolgersi a un professionista quando si mette mano a qualcosa di prezioso (e costoso) come la propria casa, oltre a quelle che una ricerca su google o qualche blog di design e decorazioni non sostituiscono una laurea e tanta esperienza, che servono non tanto per avere buon gusto ma per saper tradurre quel gusto in realtà, nel caso specifico e senza causare danni, buttare soldi o avere risultati deludenti. Purtroppo sull'argomento bonus fiscali girano molte facilonerie pericolose, anche tra gli stessi addetti ai lavori, che pur di portarsi a casa un lavoro o vendervi qualche arredo non entrano troppo nel dettaglio, così come ci sono moltissimi privati che pensano di farsela andare un po' come gli fa comodo, risparmiando sul tecnico ed evitando pratiche edilizie. Mi spiace infrangere i sogni di soldi facili ma se si vuole essere sicuri di accedere a questi bonus le condizioni sono piuttosto chiare e non è possibile fare a meno di rivolgersi a un tecnico professionista rispettando tutti gli adempimenti necessari. Non rispettarli significa, in caso di accertamento, non solo perdere tutto il bonus ma dover restituire anche i soldi già detratti oltre a salate sanzioni... vediamo nel dettaglio perché. Recuperi fiscali e ristrutturazioni Nel caso di interventi su singole unità residenziali private per accedere alla detrazione fiscale del 50% è necessario che le opere siano inquadrate almeno come straordinaria manutenzione ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. B del DPR 380/01: "b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso." in contrapposizione a quanto rientra invece nell'ambito della manutenzione ordinaria (non detraibile), ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. A del medesimo testo di legge: "a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti" In parole semplici significa che, tranne pochissime eccezioni tipo l'installazione di un impianto di allarme, per essere considerata almeno straordinaria manutenzione un lavoro deve essere comunicato con pratica edilizia quindi è necessaria almeno una CILA (comunicazione per opere interne che non toccano strutture portanti). Come già anticipato, accede al bonus richiede ovviamente di essere in regola con tutti gli adempimenti previsti per quel tipo di intervento, da valutare di caso in caso da parte di un tecnico professionista. La semplice sostituzione di sanitari, mattonelle o pavimenti, anche se fatti tutti insieme, è considerata manutenzione ordinaria poichè si tratta dal punto di vista edilizio si sole finiture, ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. A del DPR 380/01, quindi esclusa dal beneficio. Per essere molto sintetici, fatti salvi casi particolari: se non hai fatto la pratica, o è un lavoro abusivo o non è un tipo di intervento che beneficia del bonus. Per avere un'idea di cosa generalmente rientri e cosa no faccio un esempio molto pratico. - Se voglio cambiare i sanitari e i rubinetti del bagno, magari rifacendo l'attacco (i tubi nel muro) perché vecchio e logoro, oltre a cambiare la cucina, compreso il rivestimento di mattonelle e tinteggiare l'appartamento, sono nel campo della manutenzione ordinaria secondo il Testo Unico per l'Edilizia dpr 380/01, infatti questi lavori non necessitano di alcuna comunicazione o autorizzazione e potete arrangiarvi direttamente con qualche artigiano ma non avrete alcun bonus; - Se invece ho un angolo cottura chiuso e voglio trasformarlo in una cucina open space che diventi un unico ambiente con la sala pranzo, allora è necessario demolire la parete divisoria che separa i due locali. Questo diventa una manutenzione straordinaria che si deve comunicare come già detto con una pratica edilizia. Oltre alla demolizione della parete diventano detraibili anche tutti gli altri lavori che vengono eseguiti, quindi il rifacimento dei bagni, le tinteggiature interne ecc; - Sostituire i coppi del tetto o riparare i canali/pluviali è sempre manutenzione ordinaria, per diventare straordinaria bisogna almeno prevedere il rifacimento completo di impermeabilizzazione (eliminare e rifare una guaina nuova) e la sostituzione dell'intero manto di copertura con materiale diverso, ad esempio passare dai coppi alle tegole in cemento (esistono tegole a forma e colore di coppo se volete mantenere l'aspetto o avete problemi di vincoli paesaggistici e centri storici). La ragione di queste restrizioni è che il provvedimento fiscale è mirato al recupero e valorizzazione del patrimonio edilizio esistente, l'intervento tipo per cui è pensato è una ristrutturazione (che nel testo di legge è definita come "[...] interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente [...]") e tutto l'equivoco nasce dall'uso comune del termine ristrutturare: demolire una soletta per costruire una scala o modificare una facciata sono ciò che distingue una ristrutturazione in senso tecnico da una manutenzione. Consideriamo infine che tutti questi interventi e procedimenti possono però variare anche in base alla normativa regionale e dai regolamenti comunali, quindi per andare sul sicuro, è indispensabile una verifica puntuale da parte di un esperto. Oltre agli adempimenti edilizi da valutare caso per caso, basta effettuare i pagamenti con apposito bonifico, poi l'anno seguente si va dal commercialista o dal CAF con tutte le fatture, le altre spese sostenute e le ricevute dei bonifici appositi per indicare l'importo in detrazione nella dichiarazione dei redditi. Oltre ai lavori è possibile anche scaricare i mobili e gli elettrodomestici classe A+ fino a 10.000 €, sempre al 50% in 10 anni, sempre che si tratti di arredi acquistati per l'immobile oggetto di ristrutturazione. Tutti questi lavori beneficiano dell'IVA al 10% con semplice dichiarazione del committente. Qui i riferimenti ufficiali, ma è sempre meglio consultare un tecnico per capire il vostro caso specifico, non sono argomenti in cui il fai-da-te è possibile: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/Nsilib/Nsi/Agenzia/Agenzia+comunica/Prodotti+editoriali/Guide+Fiscali/Agenzia+informa/pdf+guide+agenzia+informa/Guida_Ristrutturazioni_edilizie.pdf Riqualificazioni energetiche Per i lavori che hanno a che fare con il risparmio energetico, come la sostituzione di caldaia, impianti termici, serramenti, cappotti ecc è possibile invece accedere alla detrazione del 65%. Per gli interventi più semplici come sostituzione caldaia, installazione valvole termostatiche, sostituzione serramenti, boiler acqua calda, sostituzione climatizzatore e altro basta che i nuovi elementi installati abbiano la prestazione minima richiesta per la detrazione (rendimenti per gli impianti, isolamento per serramenti). I pagamenti vanno sempre effettuati con bonifico apposito ed entro 90 giorni dalla fine lavori va inviata una dichiarazione semplificata all'ENEA per ottenere il codice da inserire nella dichiarazione dei redditi, a volte è un adempimento che esegue lo stesso rivenditore o installatore ma assicuratevene prima altrimenti dovrete rivolgervi a un tecnico che lo faccia per voi. In alternativa si può evitare l'invio e fare solo il 50%, se l'importo è molto basso la differenza di recupero è minima. Per i cappotti, isolamenti del tetto, pavimenti o lavori che comprendono sia involucro che impianti serve una verifica di progetto, di solito si rientra in casi da CILA o SCIA e si allega una relazione L.10 per calcolare lo spessore degli isolamenti necessari e verificare problemi di condensa. A fine lavori si procede con l'invio di cui sopra ma in una versione più estesa, spesso diventa obbligatorio anche dotarsi di un attestato di prestazione energetica APE. Anche questi lavori beneficiano dell'IVA al 10% con semplice dichiarazione del committente. Qui i chiarimenti: http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/Nsilib/Nsi/Agenzia/Agenzia+comunica/Prodotti+editoriali/Guide+Fiscali/Agenzia+informa/pdf+guide+agenzia+informa/Guida_Agevolazioni_Risparmio_energetico.pdf Sicurezza in cantiere Oltre a tutti i necessari adempimenti di tipo edilizio è importantissimo ricordare che esiste anche la sicurezza di cantiere, che si applica a prescindere dalle pratiche che state presentando e dal tipo di intervento edilizio. La sicurezza si valuta nel merito delle operazioni svolte quindi potrebbe essere benissimo che un lavoro che non necessita di permessi o comunicazioni richieda una serie di adempimenti per la sicurezza, ad esempio la manutenzione di un tetto sprovvisto di linea vita, o la manutenzione ordinaria di un bagno in cui intervengono un idraulico, un elettricista, un muratore e un piastrellista. Il committente in ogni caso risponde sempre in prima persona ed è il capofila nella filiera della sicurezza quindi prestate sempre molta attenzione a questi passaggi, in diverse situazioni la normativa è asfissiante e impone adempimenti costosi anche se nella sostanza non vi è alcun grave pericolo per la sicurezza dei lavoratori ma solo per come si configurano burocraticamente, in ogni caso le multe sono salatissime e in capo al committente. L'unico caso, a prescindere dal tipo di lavori e necessità di pratica o meno, che consente di evitare gli adempimenti per la sicurezza è quando: - i lavori sono sotto i 200/uomini giorno, un calcolo che dipende sommariamente dall'importo complessivo delle opere, se parliamo di poche migliaia di euro non ci sono problemi, oltre per il calcolo esatto conviene verificare; - tutti gli artigiani coinvolti sono lavoratori autonomi o al massimo uno solo è inquadrato come impresa; - ognuno è presente con un proprio contratto diretto col committente e non ci sono subappalti; - tutti gli artigiani svolgono lavori diversi, non ci possono essere due autonomi muratori, o due idraulici ecc anche se ognuno con sua partita IVA; - non ci sono rischi particolari, ad esempio caduta dall'alto per lavori su tetti o locali interni molto alti. In questa ipotesi l'unico adempimento richiesto è la verifica dei requisiti tecnico-professionali delle figure coinvolte, che si ritiene generalmente soddisfatta allegando una visura camerale e un DURC in corso di validità al contratto d'appalto. Se non si sta dentro questo campo ristretto scattano gli obblighi previsti che consistono nella nomina di un coordinatore CSP/CSE, redigere un piano di sicurezza PSC a spese del committente e ogni impresa/autonomo un POS a spese proprie, segnalare il cantiere con notifica preliminare, esporre un cartello con tutti i dati di cantiere ecc. Il costo per quanto minimo di questi adempimenti può essere tranquillamente maggiore del costo delle pratiche edilizie per il recupero fiscale, quindi a maggior ragione verificate con un tecnico se è possibile eseguire lavori in sicurezza senza incorrere necessariamente negli adempimenti burocratici del D.Lgs 81/2008. Una tipica situazione che può creare problemi nei lavoretti interni è quello di chiedere a un artigiano di pensare a tutto lui, con un unico contratto per l'esecuzione di lavori e un'unica fattura finale anche se devono essere coinvolti altri operatori. In questo modo si configura di fatto un subappalto e la ATS (ex ASL) può imporre grosse sanzioni per l'assenza di un coordinatore e un piano di sicurezza, come previsto dall'art. 90 del D.Lgs 81/2008. Per concludere ricordo il concetto alla base di questi bonus, che sono in realtà detrazioni fiscali e non contributi o incentivi: l'importo riconosciuto viene scontato dalle tasse che pagate, IRPEF nella fattispecie. Quindi se non pagate IRPEF o ne pagate poca perché ad esempio già beneficiate di altre detrazioni per figli a carico, sanitarie ecc non vi verranno accreditati soldi in più: lo stato restituisce solo quello che avete pagato prima.
Per ulteriori dettagli vi rimando a questo post precedente. Insomma se pensavate di rifare la cucina beneficiando di uno sconto del 50%, senza pratiche e tanti complimenti, forse fareste meglio a non limitarvi a leggere qualche pubblicità e rivolgervi a un professionista... arch. Amos Zampatti Per quella che è la mia modesta esperienza personale, di studio e professionale, la definizione di Paesaggio è un concetto ancora fosco anche tra gli stessi esperti che si occupano della sua gestione e di conseguenza le forme di tutela prendono le direzioni più svariate, come una bussola senza nord magnetico. Questo è un blog divulgativo e non accademico, non sono un ricercatore ma un architetto professionista. Cercherò solo di poter offrire ai più una visione sommaria e comprensibile delle criticità esistenti e delle diversità di opinioni, inevitabilmente influenzate dalla mia personale posizione in materia. Iniziamo sgombrando il campo dalla semplicistica visione che il paesaggio è solo la bellezza naturalistica o il patrimonio storico artistico, come si trova ancora su qualche dizionario. Paesaggio è un termine che si riferisce a qualunque tipo di paesaggio, compreso quello urbano e quello degradato, quello anonimo di una periferia, quello industriale, minerario ecc. Le scuole di pensiero sono molteplici ma tutte convergono su alcune questioni fondamentali: - il paesaggio ha un valore e influenza direttamente e indirettamente sia l'uomo che l'ambiente, le specie animali e vegetali che lo popolano; - paesaggio implica il risultato di interazione minerale, vegetale, umana e selvatica, di conseguenza non esiste un concetto come il "paesaggio naturale" in contrapposizione al "paesaggio artificiale/antropico", è sempre il risultato della combinazione di entrambi i fattori, tanto più oggi che anche i luoghi più remoti della Terra risentono dell'azione umana in modo più o meno diretto; - il paesaggio coopera all'elaborazione delle culture, contribuendo cosi' al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità sociale. Vediamo la definizione che ne offre la Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta dagli stati membri a Firenze nel 2000: "Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni" I limiti di questa definizione sono però diversi e mi lasciano perplesso. Ad esempio non si capisce cosa significhi "percepita dalle popolazioni": quali? quelle residenti o quelle turistiche? a scala locale campanilistica, provinciale, regionale nazionale? e poi come si fa a sapere come la percepisce "la popolazione": solo gli individui percepiscono e sfido a trovarne due che la percepiscano allo stesso identico modo anche in un piccolo borgo. Non è chiaro nemmeno in che modo sia percepita, esclusivamente visivo, di memoria storica e simbolica, sensoriale a tutto campo, strumentale-scientifica? Esistono poi perplessità legate alla "parte di territorio" che nel testo originale (inglese e francese) non è esplicitata ma compare nella traduzione italiana. Per cercare una maggiore precisione cerchiamo di capire le diverse visioni che hanno portato a questa sintesi (ovviamente i titoletti non corrispondono a nomenclature ufficiali ma servono a chiarire da subito la sostanza). Il paesaggio è quello che vedo (approccio percettivo) Questa impostazione deriva sostanzialmente dall'etimologia del termine inglese Landscape che discende a sua volta dall'olandese land-skip ("terra" e "nave"), utilizzato nel 1600 per definire il genere pittorico paesaggistico identificandolo come panorama di una porzione di terra vista dalla nave. Pare evidente che il ruolo centrale lo giochi la percezione visiva, per trasposizione infatti il paesaggio diventa ciò che si può abbracciare in una veduta, quindi diventa banalmente ciò che si vede. Questa idea, cara solitamente agli architetti e agli esperti di belle arti che prediligono discutere di aspetto esteriore, è intimamente legata alla progettazione paesaggistica che da oriente a occidente partiva spesso dalla percezione del sito, con quali fughe prospettiche e da quali punti di vista, per strutturare la forma stessa delle opere: pensate agli assi prospettici di giardini reali o al loro disegno fatto per essere goduto dall'alto dei piani nobili dei palazzi, arrivando a volte a deformarli per correggere la prospettiva e garantire una perfetta geometria apparente da quella posizione. A questa concezione si rifà spesso l'uso comune del termine anche a livello istituzionale, le valutazioni di carattere paesaggistico sono considerate come questioni circa l'aspetto, l'assonanza di certi materiali o volumi in rapporto alle forme del contesto ecc. Trovo il concetto piuttosto limitato, si finisce con il ragionare di un eterno presente, una tela pittorica appunto in cui forme e colori sono congelati nel tempo e non il prodotto di qualcosa che "si muove sotto", che è invece il reale responsabile della forma che appare poi. Inevitabilmente quindi le discussioni paesaggistiche nelle varie commissioni paesaggio e soprintendenze si orientano su opinabili questioni di gusto e stile senza considerare minimamente cosa produce e rende sostenibile quella forma caratteristica. Come se la tutela del paesaggio fosse una disquisizione da salotto buono sul come arredare un paesello o un tratto di costa con buon gusto e tradizione. Per lo stesso principio inoltre dovremmo definire certe discariche abusive e velenose che ben conosciamo nel bresciano come "a impatto zero" finchè stanno perfettamente sepolte sotto il profilo naturale di campagna e vi sia ricresciuto sopra un prato fiorito di essenze tradizionali... Il paesaggio è quello che succede (approccio scientifico) Filone di pensiero più legato al punto di vista scientifico e in particolare allo sviluppo dell'ecologia del paesaggio. A partire infatti dalla fine degli anni '30 del secolo scorso, grazie all'intuizione di un geografo tedesco, Carl Troll, mentre studiava una serie sistematica di fotografie aeree osservò come gli ecosistemi si organizzassero in entità superiori, dei sistemi di ecosistemi che definì appunto paesaggi. Negli anni '80 la disciplina nominata ecologia del paesaggio acquisì definitivamente dignità scientifica e si occupa principalmente di indagare le relazioni e gli schemi di interazioni che avvengono tra diverse unità (patches) che costituiscono il mosaico del paesaggio. Il paesaggio viene inteso quindi come il risultato di queste interazioni in cui l'uomo non è considerato elemento esterno o di disturbo ma come comprimario interagente al pari di ogni altro fattore. In questa definizione, che identifica il paesaggio come un sistema complesso, l'attenzione è rivolta più alle funzioni e alle relazioni che avvengono tra i vari elementi, infatti non è possibile capirne il funzionamento scomponendolo in singole parti elementari poichè il risultato finale è diverso dalla somma delle parti distinte. Obiettivi di tutela in questa visione diventano quindi la salvaguardia dell'attività che rende vivo un paesaggio, lo sviluppo di più relazioni in equilibrio tra loro, la valorizzazione della bio-diversità come fattore di salute e stabilità del sistema. Personalmente trovo questo tipo di impostazione molto più calzante rispetto alla precedente, supportata da una disciplina scientifica che ricerca come garantire una sostenibilità nel tempo dei paesaggi invece di limitarsi a fotografarli superficialmente. E' studiato inoltre anche l'aspetto percettivo perché uno stesso ambiente può essere percepito diversamente da diverse specie/soggetti e questa differenza di lettura produce in reazione comportamenti diversi, che influenzandosi a vicenda producono paesaggi differenti. Ciò di cui difetta è la sua scarsa traducibilità in forme e riferimenti concreti per la progettazione puntuale (o meglio è necessario uno sforzo intellettuale maggiore per ricavarne un'estetica), cosa che ne limita il fascino su architetti e paesaggisti: si concentra più sui processi di trasformazione che sulle forme prodotte, e nessun progettista vuole rinunciare al controllo totale della forma, dato che in fin dei conti è sempre chiamato a progettare dettagliatamente una forma appunto. Grande utilità invece la riveste a una scala maggiore, di pianificazione territoriale, dove può offrire strumenti di valutazione e previsione di impatto di grandi opere o trasformazioni, a differenza dei criteri più opinabili, compilativi e meno scientifici della procedure ufficiali come la VIA. Praticamente ignorato dalla quasi totalità di istituzioni che risultano competenti in materia di paesaggio poiché non riconosce praticamente alcuna specificità al patrimonio storico artistico e si traduce in un'estetica in cui è bello ciò che funziona (molto lontano dai canoni conservatori), frainteso tra chi si occupa di ambiente che ne brandeggia storpiature ambienta-populiste per opporsi a qualsiasi attività umana. Il paesaggio è quello che è successo (approccio storicista)
Il paesaggio è sostanzialmente la forma della stratificazione di azioni umane e naturali accumulatesi nella storia, che è ciò che ne caratterizza le fattezze odierne. Questa impostazione può essere intesa come sintesi delle due precedenti, in cui si tiene conto dell'aspetto evolutivo e relazionale che genera paesaggi, ma in realtà cela una connotazione fortemente storicista e conclusioni esclusivamente percettive. Il punto centrale in questa interpretazione, che caratterizza ad esempio l'impostazione italiana del codice dei beni culturali e del paesaggio che recepisce la convenzione europea, è quello di considerare il paesaggio un fatto compiuto: è sì il prodotto di una interazione, ma che ha già dato il meglio di sé e che oggi va solo protetta dall'uomo "cattivo" contemporaneo, che non saprebbe produrre niente di altrettanto degno e quindi va limitato nelle trasformazioni da relegare in zone che non suscitano alcun interesse o che rimangono al riparo dalla vista. Considerato che la specie umana non è estinta e molti dei paesaggi prodotti e tutelati sono spesso solo il prodotto involontario di gente che perseguiva i propri interessi e bisogni con le tecnologie edilizie ed agricole disponibili al tempo (in regime di assoluta inesistenza di pianificazione urbanistica e rigidità burocratica per lo più), faccio fatica a capire perché oggi pensiamo di non essere in grado di generare paesaggi che tra qualche secolo considereremmo magari con altrettanta devozione. L'effetto ultimo di questa impostazione, diffusa soprattutto tra le soprintendenze e gli esperti di conservazione, è quello di museisificare il territorio, con l'effetto sostanzialmente di ucciderlo per imbalsamarlo: se il paesaggio è un processo vivo, per mantenerne inalterate le caratteristiche formali raggiunte devo impedire ogni successiva trasformazione, cosa che avviene sacrificando l'abitabilità di quel territorio (no impianti tecnologici, no automobili, no infrastrutture, no possibilità reale di eseguire lavori, no attività agricole) causando ad esempio l'abbandono dei centri storici e quindi spendendo grandi risorse per tenere ferma anche la natura e il tempo che inevitabilmente si riappropriano dei territori abbandonati, a volte distruggendo le tracce che si volevano conservare. Senza nulla voler togliere all'unicità e irripetibilità di certi patrimoni storico-artistici considerati come elementi puntuali più che peasaggi (anche se questa impostazione presenta molte problematiche anche in questi casi), non è un approccio sostenibile e che può essere esteso ad interi paesaggi, almeno finchè l'umanità non potrà vivere su città volanti a impatto zero e avere grandi patrimoni prodotti senza impattare sul territorio per mantenere in perfette condizioni di conservazione la superficie terrestre... il che significa in fondo sostituire il concetto di paesaggio con quello di museo per turisti. Prosegui alla parte 2 Dopo aver dato una panoramica dell'argomento nel post precedente, cercherò di offrire qui la mia personale interpretazione. Iniziamo dicendo che il paesaggio è una forma, la forma di un territorio, comprensiva di tutte le sue fattezze. Questa forma è molto articolata e non è mai uguale a sé stessa. Tutto continua a cambiare nell'immagine di quel paesaggio, si susseguono mutamenti prevedibili e ciclici come l'ora del giorno e le stagioni, insieme ad altri imprevedibili e non ripetitivi come il tempo atmosferico. Pensate a un luogo, ad esempio a una stessa piazza fotografata in diversi orari del giorno e della notte, o anche la stessa piazza alla stessa ora in una diversa stagione, o in un giorno di pioggia, uno di sole, uno d'inverno. Monet intuì questo continuo cambiamento e tra il 1892 e il 1894 produsse ben 31 dipinti della medesima cattedrale non tanto per ammirazione dell'edificio in sé ma per studiare e cogliere il costante mutamento di luce e colore che si generava sulla facciata. Il cambiamento comprende poi non solo ciò che è immobile e minerale, gli edifici e la conformazione geomorfologica di un territorio, ma anche quello che è vivo, vegetale e animale, che si muove: quanto cambia un paesaggio nelle diverse stagioni per la sola presenza di alberi spogli o fioriti, i frutti maturi e i profumi delle stagioni ecc. Lo stesso vale per gli animali che popolano e si muovono, mutandone le forme in modo più o meno permanente o anche solo dando un'immagine completamente diversa solo in base alla propria presenza. Tra queste consideriamo anche l'uomo, provate a fotografare la stessa piazza di prima, vuota o il giorno del mercato, non si può certo dire che le due immagini siano uguali, anche se scattate nello stesso posto con la stessa inquadratura, luce e meteo: la percezione che avremo di quel luogo sarà completamente diversa. Tornando quindi alla definizione di Paesaggio che ci offre la Convenzione Europea: Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Dobbiamo concludere che se in quella piazza esiste o meno un mercato è un elemento integrante e caratterizzante di quel paesaggio, e non un semplice orpello o un fattore estraneo al concetto di paesaggio, così come lo sono ad esempio l'esistenza di boschi di conifere sulle Alpi o l'incessante infrangersi delle onde del mare lungo una scogliera. Potremmo andare oltre e dire anche che, come le onde che spumeggiando risuonano fragorose e riempiono l'aria del profumo della salsedine, anche la presenza di certi odori, chiacchericcio e profumi dentro un mercato caratterizza fortemente quel paesaggio. In questo senso infatti si parla di paesaggi sensoriali. La percezione di un luogo non è solo un fatto visivo ma coinvolge tutti i sensi: il tatto sente le superfici ma anche il vento, il caldo e il freddo, l'olfatto come il gusto ha fortissimi poteri legati all'emozione e alla memoria, l'udito in quanto percezione del suono è profondamente legato alla forma dell'ambiente in cui si propaga il suono stesso. Ecco dunque come si collega l'aspetto percettivo nell'ecologia del paesaggio, queste percezioni, rielaborate dagli individui, animali, umani o vegetali che siano, divengono motivi e promotori dell'agire, dello spostarsi e dell'evolversi. E il loro agire cambia la forma stessa del paesaggio in cui si spostano e di cui fanno parte; il paesaggio così mutato influenzerà a sua volta le scelte e le azioni di chi passerà dopo, in un incessante evolversi di cause ed effetti, di interazioni tra forma e funzione. Non è quindi possibile parlare di paesaggio se non in termini di "paesaggio totale", inteso cioè come risultato di tutti gli elementi e le relazioni che lo compongono, in contrapposizione al "paesaggio visivo" che siamo abituati ad intendere. Come si tutela il paesaggio? In questa accezione totale, diventa inevitabilmente complicato parlare di tutela: se il paesaggio non è un dipinto da conservare intatto come appena disegnato, in cosa consiste la sua tutela? Apparentemente si potrebbe intendere come la difesa di quelle funzioni che lo caratterizzano, rivolgendo lo sforzo non tanto a fissarne un'immagine statica nel tempo ma a proteggere e incentivare i processi che ridisegnano incessantemente quell'immagine. Per alcuni elementi può essere semplice come l'assicurare la presenza settimanale di un mercato, per altri sarebbe addirittura impossibile evitarne la ripetizione come ad esempio l'alternanza delle stagioni, del giorno e della notte, mentre per altri ancora sarebbe invece insostenibile garantirne il perdurare o addirittura del tutto impossibile. Cerco di spiegarmi meglio: l'esistenza ad esempio di paesaggi modellati dall'agricoltura di un certo tipo non è sempre sostenibile sul lungo periodo perché le tecniche dell'agricoltura e il mercato dei prodotti agricoli sono in continua evoluzione e ciò che oggi è il risultato estetico di una forma di coltivazione deriva dalla redditività che ne consegue. Il modo di allevare la vite nei nostri paesaggi ad esempio si è evoluto nel tempo, passando da un sistema ad alberate, in cui la vite veniva maritata a tutori vivi (olmo, acero, frassino...) in quanto sistema efficace in condizioni di scarse tecnologie fitosanitarie, ad altri come la pergola bresciana che offriva una lunga vita all'impianto riducendo i costi di realizzazione e sostituzione, fino al sistema guyot che meglio si sposa con la tecnologia automatica odierna, abbattendo i costi di gestione ordinaria. Non sarebbe pensabile intendere come tutela del paesaggio l'imporre a un territorio un sistema che non si ripaga, solo per il vezzo estetico di preservare una certa immagine del territorio... Alcune caratteristiche infine sono impossibili da replicare in quanto frutto della casualità, della specificità infinitesima, dell'esistenza di un certo individuo o gruppo di individui che come ovvio non è possibile replicare o rimpiazzare in modo identico.
Quindi la tutela in cosa dovrebbe consistere? nello sforzo inumano e insostenibile di preservare qualcosa che esiste oggi, interrompendo il naturale evolversi e i processi che sono la fonte stessa dei paesaggi? Non sarebbe allora la tutela stessa una forma di imbalsamazione, una forma di caccia alla specie pregiata per farne un trofeo da museo, causandone al tempo stesso l'estinzione? Questo ci porta a una conclusione tanto semplice quanto difficile da accettare: tutelare il paesaggio è solo un modo di dire privo di alcun reale significato, se non appunto quello collezionistico, compatibile più con un bene puntuale che non alla scala territoriale. Quello che però emerge da questa riflessione non deve essere però uno spirito cinico, che non riconosce alcun valore al paesaggio storico, al contrario il messaggio che dobbiamo cogliere è il grande valore della vitalità stessa del paesaggio, il preferirne la sua inevitabile trasformazione viva al suo abbandono all'inseguimento di realtà passate irreplicabili. Per tornare all'esempio della vite, è senz'altro meglio preservare l'allevamento della vite, anche in forme nuove e più contemporanee, che immaginare di imporre una determinata forma di allevamento causando l'abbandono dell'attività e il fallimento del settore, così come è senz'altro meglio avere un borgo vivo di abitazioni, anche se aggiornate non necessariamente "in stile", sicure ed efficienti per gli standard odierni, che avere un borgo "intatto" ma abbandonato. Preservare la memoria di un paesaggio passato deve essere un caso eccezionale, una piccola perla, da auspicare solo nei casi in cui riesca a ritagliarsi una nicchia per sopravvivere in una dimensione realmente sostenibile. Dovremmo quindi mutare la nostra prospettiva, passando da un fuorviante concetto di tutela a quello di una precisa volontà di costruire paesaggi di qualità, che rispondano alle esigenze contemporanee mantenendo un'armonia di relazioni con il nostro passato, con il contesto vegetale ed animale, con i processi geologici e climatici, senza vergognarci delle esigenze odierne e delle tecnologie che meglio vi rispondono. Il Paesaggio è il riflesso materico della vita di un territorio, concentrarsi sul riflesso scordando la fonte di luce che lo genera o peggio, a spese della fonte stessa, porta inevitabilmente al degrado. arch. Amos Zampatti Garden design significa letteralmente la progettazione di giardini: cosa c'è da progettare in un giardino? basta un prato e magari una siepe giusto? Beh è un modo di vederla, così come comprare uno smartphone solo per leggere l'ora o usare un libro come zeppa per il tavolo... Lo spazio esterno di un'abitazione è a tutti gli effetti una stanza di casa, spesso la stanza più grande e che costa al metro quadro meno di qualsiasi altro ambiente interno: sarebbe un bello spreco non sfruttarla adeguatamente! All'esterno è possibile passare il tempo in più di un modo, oppure svolgere attività che sarebbero impensabili o quanto meno scomode all'interno. Il giardino è anche l'unico spazio di casa che può produrre autonomamente qualcosa di utile, di commestibile e gustoso o medicinale e terapeutico, profumi o anche combustibile. Per capire cos'è la progettazione di giardini serve sapere prima cos'è un giardino, quindi iniziamo dall'etimologia: la parola italiana giardino deriva dal francese "jardin" che a sua volta discende dal germanico "garto" che significa uno spazio recintato; anche in altre lingue e culture è sempre indicato con un termine che richiama il concetto di recinto come nel greco "kepos" (cintato), nel latino "hortus (terreno confinato)", nell'ebraico "Gan-Eden" (area protetta di delizia) nel persiano "Bāgh" (recinto irrigato). Nei millenni il giardino è sempre stato uno spazio di particolare valore, dai primi giardini alimentari che segnarono la fine del nomadismo ai giardini dell'illusione e del potere, dal valore mistico religioso a quello sociale, dal culto dei sensi alla speculazione geometrica. E' quindi un ambito riservato nel quale l'essere umano coltiva una relazione reciproca con un luogo speciale, consiste nel gesto dell'uomo di sottrarre una porzione di territorio alla natura sconfinata per destinarlo all'uomo stesso, la sua connotazione principale in ogni cultura è quella di essere un luogo pensato per l'uomo. La visione del giardino come angoletto "naturale" è quindi superficiale, limitante e addirittura fuorviante: la natura esiste incondizionatamente ma quello che rende un giardino tale è l'intervento umano "artificiale" (ammesso che esista una reale distinzione tra le due categorie artificiale-naturale). Se questo è il senso profondo che accomuna ogni tipo di giardino, la forma che può assumere, quello che contiene, la presenza o meno di vegetazione, ornamentale o alimentare che sia, diviene solo una variante di quel concetto iniziale. Da dove arrivano quindi tutte le possibili interpretazioni e tipologie di giardino? A partire dalle differenti condizioni climatiche e geografiche, un ruolo centrale lo gioca la cultura: se accettiamo la definizione di giardino come un luogo confinato dove trovare diletto, arte o cibo, allora dipende molto da cosa intendiamo per confine o recinto, cosa consideriamo diletto o arte e quale ruolo ha nella nostra società e così via... le conseguenze filosofiche sono molteplici e interessanti e la storia è ricca di spunti, ma ne parleremo in un'altra puntata. Quello che interessa per oggi è chiarire che, in fin dei conti, un giardino non è tale senza un progetto, viceversa è solo un ritaglio di terreno involontario. A questo punto possiamo iniziare a delineare in cosa consiste un progetto di giardino. Ovviamente non è possibile imparare a progettare leggendo qualche articolo su internet e non è questo il mio scopo: anche acquisendo tutte le conoscenze necessarie e affini su qualche manuale o ebook, progettare rimane un'attività che va educata, affiancata dalla guida di insegnanti, esercitata autonomamente e perfezionata nel corso di anni, nel continuo confronto con i risultati ottenuti e l'evoluzione incessante di tecniche, materiali, norme ecc. In ogni progetto esistono dei ruoli: il committente, il progettista, l'esecutore; non per forza devono essere distinti in persone diverse, a volte possono coincidere anche tutti in un'unica persona, quello che conta è non tralasciare nessuno di questi passaggi: il committente rappresenta la persona a cui è destinato il progetto, è l'input delle richieste che vengono fatte a quello spazio; l'esecutore è colui che "sa fare" ed è attrezzato per fare ma non sa ancora cosa fare per rispondere efficacemente alle richieste; il progettista rappresenta il processo con cui le richieste iniziali vengono elaborate in base ad esempio al contesto, al budget, alle possibilità tecniche e climatiche, ai costi di manutenzione futuri ecc e fornisce un output finale con tutte le istruzioni necessarie per essere realizzato. Come si ottiene un buon risultato? Ritornando al concetto del giardino come spazio ragionato, voluto e consapevole, la qualità di un progetto riuscito diventa evidente quando tutti i ruoli sono stati ben sviluppati. Ad esempio è fondamentale il punto di inizio: le richieste. Più sono precise, più è chiaro e consapevole cosa si cerca, più sarà possibile centrare la risposta migliore, al contrario richieste generiche e contradditorie, la botte piena e la moglie ubriaca, il non essere in grado di scegliere tra due aspetti in conflitto rifugiandosi in un'aspettativa impossibile producono pessimi risultati. Un buon progettista deve saper tirare fuori delle richieste precise dal committente, guidarlo a capire cosa vuole: come ho intenzione di usare il mio giardino? chi sono gli utenti del giardino, pochi intimi o tanti ospiti? ci sono bambini o animali domestici? quando uso il mio giardino, in che orari, in che stagioni? che tipo di ambiente voglio, stimolante, rilassante, silenzioso, musicale? quanta manutenzione, costi o tempo sono disposto a dedicare a questo spazio una volta in funzione? In secondo luogo c'è l'analisi del contesto, cioè incrociare le richieste e le aspettative iniziali con le condizioni del sito: se ad esempio il committente desidera un bel giardino mediterraneo con agrumi e ulivi ma siamo in mezzo alle alpi il risultato potrebbe essere deludente, oppure se voglio un perfetto prato inglese ma ci sono due cani di grossa taglia che ci vivono potrei trovarmi solo con un perenne pantano. In questo senso è possibile ancora definire meglio le richieste cercandone un senso più profondo, ad esempio se cerco un giardino con molti colori che per condizioni ambientali non potrei far crescere posso sviluppare meglio il concetto e arrivare a capire ad esempio che cerco in realtà un giardino vivace, che mi dia gioia e senso di giocosità per i miei bambini, risultato che si può ottenere in molti modi tra cui troverò anche quello che più si adatta al mio contesto. Le condizioni del contesto poi comprendono non solo i dati climatici del sito e l'esposizione, ma anche ad esempio cosa c'è intorno al mio recinto: una strada trafficata e rumorosa, un parco urbano, un bosco intatto, un altro giardino su cui si affaccia una casa? Se cerco privacy dovrò impostare un giardino chiuso, rivolto al proprio interno, se cerco socialità avrò un modello più aperto, che si relaziona di più con l'esterno e con maggiori trasparenze, se il giardino ha più lati confinanti con cose diverse posso strutturare ogni confine in base alle mie esigenze, ad esempio avere il lato che confina con il vicino con cui sono in ottimi rapporti con un bordo molto permeabile, dove posso addirittura sedermi in prossimità e scambiare due parole, mentre avere il lato rivolto verso la strada completamente cieco, rivestito di rampicanti e dotato di giochi d'acqua che coprano il rumore... Per finire ciò che fa la qualità di un progetto è come vengono risolte le richieste, con quale grado di approfondimento e quindi di affidabilità: un progetto è pur sempre una previsione, una stima del futuro, a maggior ragione quando a farne parte integrante sono specie viventi e non solo sassi e cemento, quando si cerca di progettare un microecosistema che deve il più possibile restare in equilibrio senza richiedere continuamente un'enorme quantità di energie ed apporti dall'esterno. Ciò che rende infine artistico un giardino è come tutte queste cose stanno insieme, se c'è una visione di fondo, un pensiero profondo, che si riscontra in ogni aspetto dall'impostazione generale al piccolo dettaglio, sviluppando un tema o un'impostazione simbolica o filosofica. Abbiamo esempi di alcune tipologie di giardino, che rappresentano sostanzialmente degli stili o meglio dei "pacchetti di soluzioni" preconfezionate che si sono perfezionate negli anni, si possono pigramente utilizzare a patto di conoscerle, saperne costi, pregi e difetti e saperle calare nel contesto e nelle circostanze specifiche. In alternativa si può sviluppare un progetto specifico senza copiare alcuno stile o senza la pretesa di codificarne uno nuovo, semplicemente ricercando le migliori soluzioni specifiche ai problemi specifici, mantenendo però un approccio unitario e coerente. In cosa si articola il progetto di un giardino? Ecco un elenco non esaustivo ma esemplificativo degli elementi che fanno parte di un progetto:
- organizzazione dello spazio - organizzazione del tempo - elementi vegetali - elementi minerali - arredi fissi e mobili - acqua (specchi fermi o giochi in movimento, impianti di irrigazione) - piscine o idromassaggi - spazi di gioco attrezzati - illuminazione - impianti di diffusione sonora - sistemi di climatizzazione (elementi ombreggianti, ventilanti, umidificanti, riscaldanti) - percorsi e pavimentazioni - fruizione sensoriale (profumi, colori, materiali, suoni) - fruizione stagionale (periodi vegetativi, di fioritura, di riposo, di raccolta) - spazi coperti, grotte e perfino edifici e molto altro, fino al punto che potremmo osare definire la progettazione architettonica come solo una parte del progetto di giardino: anche il progetto di una casa in fondo non è altro che il progetto di un lotto di terreno cintato, destinato agli esseri umani che lo abiteranno... Oggi affrontiamo una di quelle domande a cui pochi sanno dare risposta, perfino la legge stessa vacilla...
Iniziamo dalle competenze teoriche. Le tre professioni si distinguono ovviamente per un diverso percorso formativo, che dovrebbe condurre a diverse competenze pratiche. Innanzitutto va detto che per diventare architetto, ingegnere o geometra non è sufficiente il titolo di studio ma serve l'abilitazione alla professione tramite esame di stato, mentre per l'architetto e l'ingegnere è necessaria una laurea, il geometra corrisponde a un diploma di maturità. Ovviamente stiamo tralasciando ulteriori figure professionali come i geologi, i periti industriali, i pianificatori urbani e tanti altri che però difficilmente hanno a che fare direttamente con la committenza privata. Semplificando molto le differenze formative sono le seguenti: GEOMETRA E' una figura di supporto tecnico, nasce come agrimensore (letteralmente "misuratore di terra") e si occupava inizialmente di rilievi topografici e catasto, all'estero le sue competenze comprendono stime, consulenze tecniche, supporto alla progettazione o direzione lavori ed altri servizi affini al mondo delle costruzioni. In Italia durante il fascismo le sue competenze vennero estese alla progettazione di edifici rurali semplici, da allora hanno iniziato a occuparsi di quasi tutto fino al calcolo delle strutture e alla pianificazione urbana. INGEGNERE E' uno specialista del settore, ha una formazione più scientifica, ha dimestichezza di calcolo ed è focalizzato su qualche aspetto specifico legato alla progettazione, infatti di solito si trovano come strutturisti, impiantisti elettrici, impiantisti meccanici, edili ecc. Gli ambiti in cui opera sono talmente sviluppati da richiedere una formazione specialistica per ottenere la necessaria competenza e abilità, (ad esempio gli strutturisti si dividono in specialisti del legno, dell'acciaio, del cemento armato ecc), approfondimento che però avviene a scapito della visione di insieme e della capacità di coordinarsi con esigenze esterne al proprio ramo specifico. ARCHITETTO E' uno specialista della progettazione, nella sua formazione tocca tutti gli aspetti specialistici legati all'architettura e alla costruzione senza raggiungere il livello di specializzazione di un ingegnere, ma sviluppando una visione d'insieme necessaria al coordinamento di tutti gli aspetti specialistici coinvolti. La sua vera specializzazione è la cultura progettuale e la dimensione umana dell'architettura, mentre l'ingegnere è l'esperto della materia che delimita lo spazio l'architetto è lo specialista dello spazio. La sua vocazione risiede nell'abilità di fondere le necessità del committente con quelle tecniche della costruzione, quelle energetiche e bioclimatiche, culturali e artistiche del contesto in un unico disegno armonico, curandone ogni fase e prestazione necessaria alla materializzazione di un'opera. A questo punto potreste pensare che esistono competenze specifiche ed esclusive per ogni tipo di professionista, che ognuno abbia un campo d'azione ben delimitato. e un ruolo definito. In realtà non è affatto così, da decenni si parla di riforma delle professioni tecniche proprio per arrivare a una divisione dei compiti... la situazione è grossomodo la seguente: - gli architetti hanno sostanzialmente l'esclusiva per quanto riguarda solamente gli interventi di restauro conservativo, legati a beni monumentali o di interesse storico artistico, possono progettare e dirigere lavori di qualunque tipo compreso calcolare le strutture o prestare servizi tecnici di topografia e catasto; - gli ingegneri possono, oltre alle proprie specializzazioni, redigere anche progetti architettonici, pratiche edilizie e catastali e ogni altro servizio tecnico; - i geometri sostanzialmente hanno tutte le medesime competenze riconosciute di architetti e ingegneri compresa la progettazione e il calcolo, con la sola limitazione che si estendono solo a "modeste costruzioni", definizione oscura ancora da interpretare, che per alcuni spazia dalla stalla e per altri arriva a palazzine o residence di 100 appartamenti o più. Ovviamente nella quotidianità esistono professionisti di diversa esperienza e formazione, ci possono essere geometri che hanno maturato ottime competenze nel corso di una vita e sono perfettamente in grado di progettare e realizzare un edificio, esistono ingegneri che invece di inseguire una specializzazione settoriale spaziano nella progettazione a tutto campo toccando anche l'urbanistica e il restauro, così come ci sono architetti che si sono specializzati in settori particolari come l'acustica, la prevenzione incendi ecc. Come sempre sono le persone che fanno la differenza, prima dei titoli, anche se forse qualche precisazione andrebbe fatta, altrimenti i titoli, gli esami e gli ordini a che servono? E qui veniamo a un punto che probabilmente interessa più da vicino il committente privato: costa meno un geometra, un ingegnere o un architetto? alla luce di quanto esposto e per esperienza diretta è difficile dirlo, anche se molti pensano che per il loro caso sia "sufficiente" un geometra pensando di risparmiare (cosa vera forse fino a qualche decennio fa), l'unico modo è chiedere un preventivo a ognuno e verificare di volta in volta. Io sono di parte e sostengo che il committente che necessita di un progetto grande o piccolo che sia dovrebbe andare dall'architetto, che a sua volta coinvolgerà ingegneri e geometri per ogni altro aspetto specialistico e di supporto necessario. D'altronde quando si parla di immobili, che sia la propria casa o la propria azienda, si parla sempre di qualcosa di particolarmente importante e prezioso, non sono spese che si fanno tutti i giorni e conviene sempre fare le cose per bene. Ma mi permetto anche una frecciatina e vi faccio questa provocazione: voi andreste da un medico, da un dentista o un avvocato senza laurea, anche se vi facesse un piccolo sconto? Oppure vi fareste fare un ritratto da uno specialista di pigmenti che ha studiato chimica invece di disegno? Qualche utile consiglio e chiarimento circa i vantaggi fiscali nell'edilizia.
Da diversi anni esiste la possibilità di portare in detrazione le spese per certi tipi di interventi sugli immobili, tramite due diverse forme di incentivazione: le detrazioni per ristrutturazione e quelle per riqualificazione energetica. Prima di entrare nel dettaglio di come funzionano e in cosa differiscono è fondamentale chiarire un aspetto che nessuno evidenzia mai ma sta alla base di qualsiasi recupero fiscale: si tratta in ogni caso di una forma di sconto sulle tasse, in particolare l'IRPEF per le persone fisiche o l'IRES in caso di società. Se per qualsiasi motivo non pagate sostanzialmente nulla di IRPEF o IRES, ad esempio beneficiate già di altre agevolazioni o detratti i costi deducibili il reddito è inferiore al minimo tassabile, non avrete alcun vantaggio dai recuperi fiscali! La prima cosa da verificare quindi è chiedere al vostro commercialista o sportello CAF se e quante tasse di questa natura pagate all'anno, perchè quello rappresenta il massimo beneficio che potete ottenere: se pagate 1.000 €/anno potrete al massimo vedervi restituiti quei 1.000 e non un euro di più, poichè si tratta appunto di detrazioni e non di incentivi. Detto questo passiamo al dettaglio delle due forme di agevolazione previste. Ristrutturazioni Edilizie Tralasciamo di ricostruire la storia di questa forma di provvedimento, che ha visto più modifiche, semplificazioni e proroghe nel corso degli anni. I limiti di applicazione sono piuttosto semplici e precisi: si applica solo agli immobili residenziali, si applica a interventi di manutenzione straordinaria o ristrutturazione di abitazioni e nel caso di parti comuni o condominiali anche per le manutenzioni ordinarie. La questione su cui spesso riscontro difficoltà nei clienti è distinguere cosa significhi manutenzione ordinaria o manutenzione straordinaria: non lo decidiamo a naso ma sono due definizioni contenute nel testo unico dell'edilizia D.P.R. 380/01 e s.m.i. che recita all'articolo 3: "a) "interventi di manutenzione ordinaria", gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti; b) "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso;" Per essere chiari e semplici: se si rompe un vetro e devo sostituire una finestra, oppure voglio tinteggiare gli interni del mio appartamento o sostituire i sanitari in bagno, siamo nel campo della manutenzione ordinaria. Se al contrario decido di sostituire tutti i serramenti di casa con altri più performanti, rifare completamente il bagno cambiando disposizione ecc entriamo nel campo della manutenzione straordinaria. L'Agenzia delle Entrate pubblica annualmente una guida fiscale dove trovare tutte le informazioni utili per accedere ai benefici, a questa pagina potete trovare l'ultimo aggiornamento disponibile. All'interno della guida sono riportati ulteriori esempi per casi specifici, come ad esempio l'installazione di sistemi antifurto o altri interventi puntuali che non rientrano necessariamente nelle manutenzioni straordinarie in senso tecnico/edilizio ma che sono comunque agevolati. A quanto ammonta il beneficio? Parecchio! Premesso quanto sopra circa la vostra capienza fiscale, è detraibile il 50% di ogni spesa connessa al lavoro, quindi anche l'IVA, le parcelle dei professionisti, i diritti e gli oneri eventualmente pagati al comune per il rilascio dei permessi ecc, fino a un limite di 96.000 €. In soldoni se state ristrutturando una casa e spendete 96.000 € o più, alla fine del beneficio fiscale avrete recuperato ben 48.000 € in rate da 4.800 l'anno. Il bonus viene erogato in 10 anni complessivi, in unica rata annuale che vi viene rimborsata direttamente in busta paga se dipendenti (o avete un sostituto di imposta), oppure se avete partita iva e pagate personalmente le vostre tasse potete richiedere il rimborso o far scontare l'importo direttamente dalle tasse che pagate. Oltre alle spese di cui sopra, esiste anche un bonus mobili, che funziona nel medesimo modo e rappresenta di fatto un capitolo extra di spesa con un tetto di 10.000 € a patto che gli arredi ed elettrodomestici che prendete siano destinati all'abitazione per la quale state eseguendo interventi di recupero ammessi alla detrazione per ristrutturazioni. Per beneficiare di queste agevolazioni non ci sono particolari adempimenti formali se non l'attenzione di effettuare i pagamenti in modo tracciabile, possibilmente con apposito bonifico bancario, l'importate è che ovviamente l'intervento sia ammesso e siano state rispettati tutti gli adempimenti normalmente necessari per quel tipo di intervento: se voglio modificare una tramezza per aprire la cucina e creare un open space con la sala da pranzo, recuperando il costo dell'intervento e dei nuovi mobili, devo presentare apposita pratica edilizia, rispettare l'eventuale necessità di un piano di sicurezza se si rientra nella casistica, procedere alla variazione catastale a fine lavori e ogni altro adempimento che il vostro tecnico di fiducia saprà individuare a seconda del caso. Riqualificazioni energetiche In questo caso l'agevolazione si estende a tutti gli immobili e non solo quelli residenziali, la percentuale è del 65% e i tetti di spesa più alti in proporzione ai lavori, ma il beneficio è vincolato al raggiungimento di certe prestazioni più che dal tipo di intervento eseguito. Requisito fondamentale ovviamente è che si tratti di un immobile ricaldato e servito da impianti, il senso del provvedimento è agevolare il risparmio energetico quindi se si tratta di un capannone senza impianto di riscaldamento (che quindi consuma zero) non avrà alcun risparmio per aver rifatto il tetto isolandolo. I lavori agevolati sono parecchi, sostanzialmente qualsiasi cosa abbia a che fare con un consumo energetico e a seconda dell'intervento va garantito il raggiungimento di uno standard. Sommariamente possiamo distinguere gli interventi sull'involucro dell'edificio da quelli sugli impianti ma per ogni dettaglio fare riferimento alla specifica guida fiscale. Essendo i requisiti di natura più specialistica risulta difficile entrare nel dettaglio senza un approccio tecnico o analizzando il caso specifico, che può variare da regione a regione in base alla normativa energetica vigente. Quello che si può dire per fare un esempio pratico è che non è sufficiente dire cambio i serramenti a vetro singolo con quelli nuovi a doppio vetro per beneficiare del bonus, i serramenti devono garantire un valore di isolamento minimo che deve essere certificato dal produttore. Allo stesso modo non è sufficiente dire faccio il cappotto, bisogna che lo spessore del cappotto e il materiale impiegato siano tali da garantire il grado di isolamento necessario per accedere alla detrazione, e lo si verifica con calcoli termotecnici specifici. Per usufruire inoltre di questo bonus, oltre a tutti gli accorgimenti previsti già per le ristrutturazioni, è indispensabile provvedere all'invio di una apposita pratica in via telematica, dove va indicato dettagliatamente il tipo di intervento eseguito e le prestazioni raggiunte. In alcuni casi, come la sostituzione di serramenti o l'installazione di pompe di calore per la produzione di acqua calda, ci sono moduli semplificati e a volte se ne occupa direttamente il venditore/installatore, ma in generale è sempre bene affidarsi a un tecnico di fiducia competente in materia per essere sicuri di non perdere il beneficio a causa di lavori inadeguati o pratiche errate. Un aspetto interessante per questo tipo di bonus è che si somma a quello della ristrutturazione, ma non per la stessa opera: non posso scaricare il 50% di un serramento nuovo come ristrutturazione e il 65% come riqualificazione, per ogni caso scelgo quale dei due. E' però possibile "spacchettare" l'intervento di ristrutturazione di una casa portando in detrazione alcuni lavori come appunto il cappotto, i serramenti nuovi e i nuovi impianti di riscaldamento/raffrescamento con il sistema del 65%, e scaricare il resto delle spese e dei lavori che non hanno impatto sui consumi energetici (ad esempio i bagni, i pavimenti e i rivestimenti, le scale ecc) con il bonus del 50%. Avendo sufficiente capienza fiscale infatti è sostanzialmente possibile allargare di molto il tetto dei 96.000 € della sola ristrutturazione arrivando ad esempio a spenderne il doppio se ho 100.000 € di riqualificazioni energetiche e altrettanti di ristrutturazione, ai quali sommare anche i 10.000 € per i mobili. Considerazioni finali - ristrutturare conviene? Affidandovi alle persone giuste e studiando bene l'intervento oggi è possibile non solo mettere mano al proprio immobile investendo bene i propri soldi, rinnovandone il valore di mercato e migliorandone i costi di esercizio, ma è possibile affermare anche che la cosa più conveniente in caso di acquisto di una nuova casa sia proprio il caso di un immobile da ristrutturare. Questa soluzione offre la possibilità, a parità di budget, acquistando a un prezzo decisamente più basso di una casa nuova e usando il resto dei soldi per ristrutturarla, di un bel risparmio economico, oltre al vantaggio di poter essere personalizzata in molti modi sviluppando un progetto ad hoc. Per fare un esempio pratico espongo due cifre: Casa nuova: 280.000 € (escluso tasse di compravendita, calcolate su 280.000) arredamento 20.000 € totale spesa 300.000 € nessun ritorno Abitazione da ristrutturare 140.000 € (escluso tasse, calcolate però su 140.000) ristrutturazione 90.000 € riqualificazione energetica 50.000 € arredamento 20.000 € totale spesa 300.000 € recupero di 8.250 €/anno per 10 anni costo finale dopo 10 anni: 300.000 - 82.500 = 217.500 € |
Amos Zampattiarchitetto Categorie
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