Per quella che è la mia modesta esperienza personale, di studio e professionale, la definizione di Paesaggio è un concetto ancora fosco anche tra gli stessi esperti che si occupano della sua gestione e di conseguenza le forme di tutela prendono le direzioni più svariate, come una bussola senza nord magnetico. Questo è un blog divulgativo e non accademico, non sono un ricercatore ma un architetto professionista. Cercherò solo di poter offrire ai più una visione sommaria e comprensibile delle criticità esistenti e delle diversità di opinioni, inevitabilmente influenzate dalla mia personale posizione in materia. Iniziamo sgombrando il campo dalla semplicistica visione che il paesaggio è solo la bellezza naturalistica o il patrimonio storico artistico, come si trova ancora su qualche dizionario. Paesaggio è un termine che si riferisce a qualunque tipo di paesaggio, compreso quello urbano e quello degradato, quello anonimo di una periferia, quello industriale, minerario ecc. Le scuole di pensiero sono molteplici ma tutte convergono su alcune questioni fondamentali: - il paesaggio ha un valore e influenza direttamente e indirettamente sia l'uomo che l'ambiente, le specie animali e vegetali che lo popolano; - paesaggio implica il risultato di interazione minerale, vegetale, umana e selvatica, di conseguenza non esiste un concetto come il "paesaggio naturale" in contrapposizione al "paesaggio artificiale/antropico", è sempre il risultato della combinazione di entrambi i fattori, tanto più oggi che anche i luoghi più remoti della Terra risentono dell'azione umana in modo più o meno diretto; - il paesaggio coopera all'elaborazione delle culture, contribuendo cosi' al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità sociale. Vediamo la definizione che ne offre la Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta dagli stati membri a Firenze nel 2000: "Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni" I limiti di questa definizione sono però diversi e mi lasciano perplesso. Ad esempio non si capisce cosa significhi "percepita dalle popolazioni": quali? quelle residenti o quelle turistiche? a scala locale campanilistica, provinciale, regionale nazionale? e poi come si fa a sapere come la percepisce "la popolazione": solo gli individui percepiscono e sfido a trovarne due che la percepiscano allo stesso identico modo anche in un piccolo borgo. Non è chiaro nemmeno in che modo sia percepita, esclusivamente visivo, di memoria storica e simbolica, sensoriale a tutto campo, strumentale-scientifica? Esistono poi perplessità legate alla "parte di territorio" che nel testo originale (inglese e francese) non è esplicitata ma compare nella traduzione italiana. Per cercare una maggiore precisione cerchiamo di capire le diverse visioni che hanno portato a questa sintesi (ovviamente i titoletti non corrispondono a nomenclature ufficiali ma servono a chiarire da subito la sostanza). Il paesaggio è quello che vedo (approccio percettivo) Questa impostazione deriva sostanzialmente dall'etimologia del termine inglese Landscape che discende a sua volta dall'olandese land-skip ("terra" e "nave"), utilizzato nel 1600 per definire il genere pittorico paesaggistico identificandolo come panorama di una porzione di terra vista dalla nave. Pare evidente che il ruolo centrale lo giochi la percezione visiva, per trasposizione infatti il paesaggio diventa ciò che si può abbracciare in una veduta, quindi diventa banalmente ciò che si vede. Questa idea, cara solitamente agli architetti e agli esperti di belle arti che prediligono discutere di aspetto esteriore, è intimamente legata alla progettazione paesaggistica che da oriente a occidente partiva spesso dalla percezione del sito, con quali fughe prospettiche e da quali punti di vista, per strutturare la forma stessa delle opere: pensate agli assi prospettici di giardini reali o al loro disegno fatto per essere goduto dall'alto dei piani nobili dei palazzi, arrivando a volte a deformarli per correggere la prospettiva e garantire una perfetta geometria apparente da quella posizione. A questa concezione si rifà spesso l'uso comune del termine anche a livello istituzionale, le valutazioni di carattere paesaggistico sono considerate come questioni circa l'aspetto, l'assonanza di certi materiali o volumi in rapporto alle forme del contesto ecc. Trovo il concetto piuttosto limitato, si finisce con il ragionare di un eterno presente, una tela pittorica appunto in cui forme e colori sono congelati nel tempo e non il prodotto di qualcosa che "si muove sotto", che è invece il reale responsabile della forma che appare poi. Inevitabilmente quindi le discussioni paesaggistiche nelle varie commissioni paesaggio e soprintendenze si orientano su opinabili questioni di gusto e stile senza considerare minimamente cosa produce e rende sostenibile quella forma caratteristica. Come se la tutela del paesaggio fosse una disquisizione da salotto buono sul come arredare un paesello o un tratto di costa con buon gusto e tradizione. Per lo stesso principio inoltre dovremmo definire certe discariche abusive e velenose che ben conosciamo nel bresciano come "a impatto zero" finchè stanno perfettamente sepolte sotto il profilo naturale di campagna e vi sia ricresciuto sopra un prato fiorito di essenze tradizionali... Il paesaggio è quello che succede (approccio scientifico) Filone di pensiero più legato al punto di vista scientifico e in particolare allo sviluppo dell'ecologia del paesaggio. A partire infatti dalla fine degli anni '30 del secolo scorso, grazie all'intuizione di un geografo tedesco, Carl Troll, mentre studiava una serie sistematica di fotografie aeree osservò come gli ecosistemi si organizzassero in entità superiori, dei sistemi di ecosistemi che definì appunto paesaggi. Negli anni '80 la disciplina nominata ecologia del paesaggio acquisì definitivamente dignità scientifica e si occupa principalmente di indagare le relazioni e gli schemi di interazioni che avvengono tra diverse unità (patches) che costituiscono il mosaico del paesaggio. Il paesaggio viene inteso quindi come il risultato di queste interazioni in cui l'uomo non è considerato elemento esterno o di disturbo ma come comprimario interagente al pari di ogni altro fattore. In questa definizione, che identifica il paesaggio come un sistema complesso, l'attenzione è rivolta più alle funzioni e alle relazioni che avvengono tra i vari elementi, infatti non è possibile capirne il funzionamento scomponendolo in singole parti elementari poichè il risultato finale è diverso dalla somma delle parti distinte. Obiettivi di tutela in questa visione diventano quindi la salvaguardia dell'attività che rende vivo un paesaggio, lo sviluppo di più relazioni in equilibrio tra loro, la valorizzazione della bio-diversità come fattore di salute e stabilità del sistema. Personalmente trovo questo tipo di impostazione molto più calzante rispetto alla precedente, supportata da una disciplina scientifica che ricerca come garantire una sostenibilità nel tempo dei paesaggi invece di limitarsi a fotografarli superficialmente. E' studiato inoltre anche l'aspetto percettivo perché uno stesso ambiente può essere percepito diversamente da diverse specie/soggetti e questa differenza di lettura produce in reazione comportamenti diversi, che influenzandosi a vicenda producono paesaggi differenti. Ciò di cui difetta è la sua scarsa traducibilità in forme e riferimenti concreti per la progettazione puntuale (o meglio è necessario uno sforzo intellettuale maggiore per ricavarne un'estetica), cosa che ne limita il fascino su architetti e paesaggisti: si concentra più sui processi di trasformazione che sulle forme prodotte, e nessun progettista vuole rinunciare al controllo totale della forma, dato che in fin dei conti è sempre chiamato a progettare dettagliatamente una forma appunto. Grande utilità invece la riveste a una scala maggiore, di pianificazione territoriale, dove può offrire strumenti di valutazione e previsione di impatto di grandi opere o trasformazioni, a differenza dei criteri più opinabili, compilativi e meno scientifici della procedure ufficiali come la VIA. Praticamente ignorato dalla quasi totalità di istituzioni che risultano competenti in materia di paesaggio poiché non riconosce praticamente alcuna specificità al patrimonio storico artistico e si traduce in un'estetica in cui è bello ciò che funziona (molto lontano dai canoni conservatori), frainteso tra chi si occupa di ambiente che ne brandeggia storpiature ambienta-populiste per opporsi a qualsiasi attività umana. Il paesaggio è quello che è successo (approccio storicista)
Il paesaggio è sostanzialmente la forma della stratificazione di azioni umane e naturali accumulatesi nella storia, che è ciò che ne caratterizza le fattezze odierne. Questa impostazione può essere intesa come sintesi delle due precedenti, in cui si tiene conto dell'aspetto evolutivo e relazionale che genera paesaggi, ma in realtà cela una connotazione fortemente storicista e conclusioni esclusivamente percettive. Il punto centrale in questa interpretazione, che caratterizza ad esempio l'impostazione italiana del codice dei beni culturali e del paesaggio che recepisce la convenzione europea, è quello di considerare il paesaggio un fatto compiuto: è sì il prodotto di una interazione, ma che ha già dato il meglio di sé e che oggi va solo protetta dall'uomo "cattivo" contemporaneo, che non saprebbe produrre niente di altrettanto degno e quindi va limitato nelle trasformazioni da relegare in zone che non suscitano alcun interesse o che rimangono al riparo dalla vista. Considerato che la specie umana non è estinta e molti dei paesaggi prodotti e tutelati sono spesso solo il prodotto involontario di gente che perseguiva i propri interessi e bisogni con le tecnologie edilizie ed agricole disponibili al tempo (in regime di assoluta inesistenza di pianificazione urbanistica e rigidità burocratica per lo più), faccio fatica a capire perché oggi pensiamo di non essere in grado di generare paesaggi che tra qualche secolo considereremmo magari con altrettanta devozione. L'effetto ultimo di questa impostazione, diffusa soprattutto tra le soprintendenze e gli esperti di conservazione, è quello di museisificare il territorio, con l'effetto sostanzialmente di ucciderlo per imbalsamarlo: se il paesaggio è un processo vivo, per mantenerne inalterate le caratteristiche formali raggiunte devo impedire ogni successiva trasformazione, cosa che avviene sacrificando l'abitabilità di quel territorio (no impianti tecnologici, no automobili, no infrastrutture, no possibilità reale di eseguire lavori, no attività agricole) causando ad esempio l'abbandono dei centri storici e quindi spendendo grandi risorse per tenere ferma anche la natura e il tempo che inevitabilmente si riappropriano dei territori abbandonati, a volte distruggendo le tracce che si volevano conservare. Senza nulla voler togliere all'unicità e irripetibilità di certi patrimoni storico-artistici considerati come elementi puntuali più che peasaggi (anche se questa impostazione presenta molte problematiche anche in questi casi), non è un approccio sostenibile e che può essere esteso ad interi paesaggi, almeno finchè l'umanità non potrà vivere su città volanti a impatto zero e avere grandi patrimoni prodotti senza impattare sul territorio per mantenere in perfette condizioni di conservazione la superficie terrestre... il che significa in fondo sostituire il concetto di paesaggio con quello di museo per turisti. Prosegui alla parte 2 |
Amos Zampattiarchitetto Categorie
Tutto
|